CURIOSITÀ


IL PESO DELLA LIBERTÀ: LA PRIMA CARTA MONETA MESSICANA
Davide Oldrati © 2020


Il XIX fu un secolo molto movimentato nella storia del Messico; in meno di 100 anni si susseguirono, grosso modo: una guerra d'indipendenza, due imperi, quattro repubbliche, due invasioni straniere, tre dittature e svariate rivoluzioni. In tale precarietà, è inevitabile che gli eventi fossero più rapidi dei cambiamenti che la società cercò di intraprendere, e molti progetti restarono per forza di cose incompiuti. È il caso, ad esempio, dei primi esperimenti per approntare l'uso di un mezzo rivoluzionario di scambio, in un paese che era considerato "la patria dell'oro e dell'argento": la carta moneta. In questo post racconterò di questi tentativi sfortunati.


IL TRAMONTO DI UN IMPERO COLONIALE

Durante il periodo in cui fu colonia dell'Impero spagnolo, la regione del Messico apparteneva al Viceregno di Nuova Spagna e, come tutte le colonie, era legata a doppio filo alle sorti della nazione regnante.

All'inizio del XIX secolo, la Spagna versava in pessime condizioni economiche, politiche e militari, conseguenza di una serie impressionante di rovesci bellici: la guerra dei sette anni, la guerra anglo-spagnola del 1779-1783, la guerra del Rossiglione contro la Francia rivoluzionaria e gli insuccessi nelle guerre napoleoniche avevano condotto quella che una volta era la potenza coloniale più vasta del mondo sull'orlo della bancarotta. La monarchia dei Borbone era ridotta a vassalla dell'Imperatore di Francia, Napoleone, che nel 1808 riuscì, complice la politica dissennata del Re Carlo IV, ad impossessarsi del trono nominando suo fratello maggiore Giuseppe Bonaparte Re di Spagna col nome di José I il 6 giugno.

José I Bonaparte, Re di Spagna dal 1808 al 1813


Viceregno di Nuova Spagna


In questa decadenza, la Spagna si era progressivamente coperta di debiti enormi, che aveva finito per scaricare sulle spalle del Viceregno. Si stima ("La bancarrota del Virreinato. Nueva España y las finanzas del Imperio español 1780-1810" di Carlos Marichal, 1999) che tra il 1770 e il 1810 furono trasferiti 250 milioni di Pesos d'argento dalla Tesoreria del Viceregno di Nuova Spagna alle casse spagnole. Se intorno al 1785 i trasferimenti di argento dalla Nuova Spagna contribuivano al totale degli introiti del Tesoro spagnolo per il 15%, nel 1808 arrivarono a coprirne il 50%! Senza contare le enormi quantità di metalli preziosi spedite dalla Nuova Spagna alle altre colonie spagnole nel continente americano (Viceregni di Nuova Granada, Peru e Rio de la Plata e Capitaneria di Cuba).

Per far fronte ai debiti della Spagna, la colonia dovette spremere fino in fondo tutte le risorse di cui era ricca. Naturalmente, chi pagò il conto più salato fu la popolazione: i prestiti forzosi, le tassazioni sull'industria mineraria, sui commerci (come l'alcabala) e sui prodotti agricoli (ad es. sul tabacco) e le vessazioni sui nativi americani portarono il malcontento generale fino al punto di rottura.
La situazione di estrema debolezza della monarchia spagnola, che aveva perso ogni smalto dell'antico prestigio, contribuì ad accendere nell'animo dei cittadini di Nuova Spagna la fiamma del sentimento di indipendenza e di orgoglio. Era soltanto questione di tempo e di luogo perché quella fiamma innescasse la miccia del malcontento.

In seguito ad una siccità che colpì la regione di Dolores nel 1807-1808, la mattina del 16 settembre 1810 il prete Manuel Hidalgo y Costilla si schierò contro i mercanti spagnoli che speculavano sul prezzo del grano e diede il via alla guerra d'indipendenza col suo discorso noto come il "Grito de Dolores".

(a destra, Manuel Hidalgo tratto dalla banconota da 10 pesos 1969-1978)

SOTTOSEGRETARI, INTENDENTI E VICERÈ

La prima esperienza messicana dell'uso di carta moneta risale al periodo della guerra d'indipendenza.

In questo contesto, il 18 luglio 1813 il Sottosegretario di San Miguel el Grande (odierno San Miguel de Allende), Miguel Maria Malo, inviò una lettera all'Intendente di Guanajuato, Fernando Perez Marañon, informandolo della scarsità di circolante nel suo comune e chiedendo di dar seguito alla richiesta, da parte dei cittadini più influenti di San Miguel, di creare dei biglietti da ½ Real (cioè 1/16 di Peso, essendo il Peso coloniale spagnolo pari a 8 Reales, da cui il nome di "Peso-de-a-ocho", Peso da otto) per far fronte al problema dei cambi:

"L'estrema mancanza di circolante, e in particolare di moneta divisionale, e l'avarizia di questi mercanti che cambiano un Peso solo qualora vengano spesi quattro o cinque Reales, comporta un grave danno a questi abitanti, in particolare ai poveri... Così è stato deciso a maggioranza di designare un consiglio composto dai più illustri proprietari terrieri ("vecinos") e dalle autorità della Chiesa... Alla riunione di detto consiglio, si è deciso di produrre alcune scritture cartacee da far circolare in luogo delle monete con un valore di ½ Real sotto lo stretto controllo dei giudici e soggette a tutte le sanzioni previste nella nostra saggia legislazione per i loro contraffattori."

(le traduzioni qui riportate si riferiscono alle versioni in inglese del carteggio originale, tratte dall'articolo "Mexico's first paper money – The 1813 San Miguel el Grande war of independence emergency issues" di Carlos Jara)


Immagine tratta da "The history of coins and banknotes in Mexico", Banco de México, 2019 (pag. 25)


Quando, il 23 luglio, l'Intendente Marañon informò il Viceré di Nuova Spagna Félix María Calleja che, con un decreto, aveva dato seguito alla richiesta di emissione, quest'ultimo disconobbe duramente l'iniziativa con una lunga e colorita lettera in cui diede sfogo alla sua ira per essere stato scavalcato.

"Anche se l'individuo che si presenta come Sottosegretario di San Miguel el Grande avesse effettivamente ottenuto in buona fede la suddetta autorizzazione riportata dall'Intendenza di Guanajuato, rappresenterebbe comunque un atteggiamento riprovevole e sconsiderato arrogarsi facoltà eccessive di autorizzare la produzione e diffusione di emissioni di carta moneta. Lo stesso strumento (l'emissione di carta moneta) fu proposto nelle circostanze più appropriate dall'Intendenza e dal Consiglio di Merida de Yucatan, eppure fu negato da questa autorità (il Vicerè) e alla fine furono intraprese altre misure più praticabili come il prestito forzoso dell'argenteria e tasse aggiuntive sugli immobili. Queste misure sono state le più prudenti in quanto hanno impedito tutti i danni e gli inconvenienti che sono sempre derivati dall'uso della carta moneta. Inoltre, va notato che la suddetta emissione (di carta moneta) messa in circolazione dal Sottosegretario di San Miguel el Grande è del tutto spregevole (una scarna rappresentazione delle banconote!) e può essere riscattata e garantita solo da lui personalmente e dalla Giunta che afferma di aver consultato: in effetti, il Tesoro Pubblico non dovrebbe mai essere costretto a ricevere questi biglietti non autorizzati e neppure le persone che li hanno ricevuti in buona fede considerandoli legittimamente approvati poiché autorizzati dal Giudice residente in quel luogo.

Inoltre, non dovrebbe sorprendere il fatto che questo strumento
(la carta moneta) consenta l'inganno delle persone col fatto che solo pochi individui accumulino il limitato conio che si trova in circolazione. Questo sospetto dovrebbe essere quanto mai fondato considerando la temerarietà mostrata dal Sottosegretario, che probabilmente scaturisce da un interesse personale in merito. In effetti, nemmeno l'ignoranza più estrema avrebbe potuto concedergli facoltà così ampie e straordinarie né spiegare il laconismo e la mancanza di informazioni che emana dalla sua nota in cui informa l'Intendenza di Guanajuato sulla questione: quest'ultima non specifica la quantità di biglietti che sono stati stampati né la garanzia per la conversione del loro valore né tutti gli altri dettagli e circostanze che una misura così seria implica di solito.

In virtù delle argomentazioni esposte, S. E. dovrebbe disapprovare l'iniziativa del Sottosegretario di San Miguel el Grande nella sua interezza e istruire l'Intendenza di Guanajuato ad adottare le misure che ritengano utili per mettere in discussione detto Sottosegretario, conoscere la vera origine di questa procedura oltremodo violenta
(di emissione di carta moneta), ritirare i biglietti e rimborsare ai loro portatori il valore che è stato loro attribuito e le altre misure necessarie per ottenere i completi antecedenti dell'emissione in generale.

Mexico, 20 Settembre 1813.
Calleja."

A parte le considerazioni condivisibili sulla mancanza di indicazioni circa la tiratura e le garanzie di convertibilità dei biglietti, o sulla oggettiva bruttezza dell'emissione in sé, quando ho letto la reazione del Calleja ho pensato che fosse scomposta e brutale: accusare il Sottosegretario Malo di aver agito in mala fede e chiederne (ossia ordinarne...) la "messa in discussione" (che suona come una revoca del suo incarico) solo perché aveva inoltrato una richiesta del consiglio cittadino mi è parso eccessivo, tanto più se consideriamo che il responsabile del decreto che rese esecutiva la richiesta di Malo, cioè l'Intendente Marañon, sembra essere immune all'ira del Viceré.
Il tono esagerato della missiva si spiega, tuttavia, con alcune considerazioni di carattere storico, a cui accennerò il più brevemente possibile per non appesantire la lettura.

Intanto, scopriamo che il Viceré, in effetti, non era Viceré...


Frontespizio della Costituzione di Cadice


Infatti, in seguito alla caduta di Carlo IV di Borbone e la conquista bonapartista del trono di Spagna nel 1808, venne varata a Cadice una Costituzione liberale che istituì il suffragio universale maschile portando in primo piano la sovranità della Nazione rispetto a quella della Corona, di fatto ridimensionando i poteri del Re. La Costituzione di Cadice del 1812 ridisegnò la geografia istituzionale della vecchia e della Nuova Spagna.

Come conseguenza, nel Viceregno di Nuova Spagna fu abolito il titolo di Viceré e sostituito dall'istituto del Capo Politico Superiore, con poteri limitati rispetto a quelli del Viceré. In pratica, il Capo Politico Superiore era la massima carica istituzionale del Viceregno durante i due anni in cui rimase in vigore la Costituzione di Cadice, cioè dal 19 marzo 1812 al 4 maggio 1814.

Félix María Calleja fu nominato Capo Politico Superiore il 28 gennaio 1813, sotto l'egida della Costituzione di Cadice, dunque non è esatto dire, come ad es. fa Carlos Jara (art. cit.), che era il Viceré: era invece il "Jefe Político Superior", vale a dire un... Viceré dimezzato. Quando il 23 luglio del 1813 il Calleja ricevette la notizia dell'emissione dei biglietti da ½ Real, era entrato in carica da appena sei mesi.
Prima di essere nominato Capo Politico Superiore di Nuova Spagna, Calleja era stato un valente comandante realista e aveva inflitto dure sconfitte agli indipendentisti nella battaglia di Aculco del novembre 1810 e in quella ancora più schiacciante di Puente de Calderón, che portò alla cattura dei principali leader indipendentisti Hidalgo, Allende, Abasolo e altri. Furono proprio i suoi successi militari a valergli il ruolo di Capo Politico del Viceregno.

È bene ricordare che Guanajuato era stato un focolaio dell'insurrezione indipendentista e il quartier generale dei leader Ignacio Allende (da cui l'odierno nome di San Miguel de Allende) e Mariano Abasolo. Quindi, è probabile che l'iniziativa del Sottosegretario Malo sia parsa al Calleja, fresco di nomina a capo del Viceregno, come un affronto alla sua autorità. Fu forse questa la ragione che lo indusse a mettere in dubbio la buona fede del Sottosegretario e a chiederne la "messa in discussione"? Non lo sappiamo, è possibile, ma rimane da spiegare perché invece l'Intendente non subì lo stesso trattamento riservato al Sottosegretario, e come abbia potuto anche solo pensare di legiferare in materia monetaria senza sottomettere la decisione alla massima autorità del Paese.

Félix María Calleja

Per rispondere a queste domande occorre capire chi fosse l'"Intendénte".

Durante il XVIII secolo, i Borbone, che avevano sostituito gli Asburgo (Trattato di Utrecht, 1713) alla guida della monarchia spagnola, avevano intrapreso un processo di riforme (le Riforme Borboniche) dell'apparato amministrativo delle colonie, mirato a massimizzare le rendite riducendo il potere dell'aristocrazia terriera nativa dei criollos (i nativi americani di origini europee) e ad aumentare il controllo diretto della Corona sui territori colonizzati decentralizzandone l'amministrazione.
Una di queste riforme, a livello locale, sostituì gradualmente i numerosi distretti amministrativi guidati dai Corregidores (noti anche come Alcaldes mayores) o dai Cabildos (consigli comunali) con le Intendéncias, che corrispondevano grosso modo agli attuali Stati federati del Messico. L'Intendénte, un ufficiale spagnolo inviato dall'Europa, era dotato di ampi poteri economici e politici ed era responsabile direttamente davanti alla Corona, scavalcando e sovrapponendosi di fatto ai Vicerè, ai Capitani Generali e ai Governatori preesistenti.


Le Indendencias del Viceregno e le secessioni dei territori del nord e del sud


L'Intendente Marañon, quindi, era il rappresentante diretto della Corona spagnola nelle faccende inerenti l'Intendéncia di Guanajuato e, nel caos amministrativo prodotto dagli eventi, è comprensibile che si fossero creati dei vuoti di potere a livello locale: ecco spiegato perché credette di poter decretare l'emissione di carta moneta senza richiedere l'autorizzazione del Capo Politico Superiore. E l'occhio di riguardo che il Calleja ebbe nei suoi confronti fu probabilmente uno sforzo diplomatico per evitare di entrare in conflitto con la Corona.

Alla luce di queste considerazioni, quella che a prima vista appare una buffa filippica, in realtà, ci racconta della tormentata condizione psicologica di una classe dirigente obsoleta che, nel caos istituzionale creato dal tramonto dell'Antico Regime (nella vecchia e nella Nuova Spagna), si trovava stretta tra il fuoco della rivoluzione indipendentista e il gelo dei rapporti con una monarchia debole e indifferente.

In conclusione, se è vero, come fa notare Carlos Jara (art. cit.), che questa emissione fu decretata da un'autorità ufficiale (l'Intendenza di Guanajuato) e che, nel ritirarla, fu ordinato di pagare il corrispettivo, riconoscendo implicitamente la validità dei crediti rappresentati da questi biglietti, è anche vero che l'autorità dell'Intendenza aveva carattere regionale mentre era mancata la ratifica da parte dell'autorità nazionale. Si può discutere se sia o meno una emissione regionale "ufficiale", dal momento che la situazione politica fluida aveva creato vuoti e conflitti di potere che avevano lasciato di fatto ampi margini di autonomia alle amministrazioni locali. Ma certamente non può essere considerata "ufficiale" a livello nazionale, né tanto meno una emissione "messicana" ("first confirmed paper money Mexican issue"), dal momento che il Messico ancora non esisteva.

Sui pochi esemplari noti al momento (dai 6 ai 9 secondo l'articolo di Jara) ho potuto individuare queste quattro varietà di firma: la prima da sinistra è del Sottosegretario Miguel Maria Malo, la seconda è di un certo Gonzalez, la terza non è identificata mentre la quarta potrebbe essere quella di Vicente Umarán, Tesoriere della Giunta di Guerra istituita da Manuel Hidalgo a San Miguel el Grande, Sottosegretario di San Miguel nel 1821 e deputato nel primo Congresso statale di Guanajuato nel 1824.





L'IMPERO DI CARTA. I PRIMI PESOS UFFICIALI DEL MESSICO

(Su Hemeroteca Digital – Biblioteca Nazionale di Spagna è possibile consultare i decreti dei governi messicani dal gennaio 1810 al febbraio 1835)

Le prime emissioni ufficiali del Messico risalgono al periodo del Primo Impero Messicano.


Agustín de Iturbide, imperatore del Messico


Gli undici anni di guerra civile avevano ulteriormente aggravato la situazione economica del paese, basata principalmente sull'industria estrattiva dell'oro e dell'argento: la maggior parte delle miniere era stata saccheggiata e quelle ancora in funzione non riuscivano a rifornire la capitale per via dell'estrema insicurezza delle vie di comunicazione. Il Paese era percorso da bande di guerriglieri e banditi: la guerra d'indipendenza aveva aperto il Paese a grandi opportunità per gli avventurieri di arricchirsi e non era più chiaro dove finissero gli ideali e cominciasse il tornaconto personale.

È il caso del colonnello Agustín de Iturbide, comandante delle truppe realiste nella battaglia sul Monte de las Cruces (1810) contro l'esercito degli indipendentisti Hidalgo e Allende, nominato Comandante Generale, guarda caso, proprio della provincia di Guanajuato, dove si era distinto in particolare per numerosi abusi di potere sui commercianti della zona tanto che alla fine il Calleja (nel frattempo diventato effettivamente Viceré in seguito alla soppressione della Costituzione di Cadice) lo rimosse dall'incarico. Anni dopo, fu protagonista dell'indipendenza messicana riuscendo a stipulare un piano di pace con Vicente Guerrero, comandante delle ultime forze indipendentiste, noto come il Piano di Iguala, un programma politico basato su tre istanze fondamentali: l'indipendenza del Messico, l'unicità della religione cattolica e l'unità degli eserciti contrapposti. Il piano prevedeva di instaurare una monarchia costituzionale e istituiva una Giunta governativa, presieduta dallo stesso Iturbide, nell'attesa che Ferdinando VII, ripristinata la dinastia borbonica sul trono di Spagna dopo la parentesi bonapartista, prendesse possesso anche del Messico. Dopo una campagna militare contro le forze ostili al piano e fedeli al Viceré, il 27 settembre 1821 la Giunta dichiarava l'indipendenza del Messico.
Ben presto la Giunta di Iturbide entrò in conflitto con il Congresso costituente e l'esercito, sul quale il reggente aveva una certa presa, si sollevò imponendo al Congresso di nominarlo Imperatore del Messico. Quando, il 19 maggio 1822, Agustín de Iturbide fu proclamato Imperatore, si trovò a dover fronteggiare la grave situazione economica e approntò le consuete drastiche misure (prestito forzoso, taglio dei salari, aumento delle imposte ecc.) che gli alienarono irrimediabilmente i favori della popolazione.

Per risolvere il problema della scarsità di moneta metallica, ricorse all'emissione di carta moneta. Con decreto 20 dicembre 1822 il governo imperiale stabilì la creazione di cedole per un totale di 4 milioni di Pesos, così suddivisi:
  • 2.000.000 di cedole da 1 Peso;
  • 500.000 cedole da 2 Pesos;
  • 100.000 cedole da 10 Pesos.
Le cedole furono create con validità limitata esclusivamente all'anno successivo, dal 1° gennaio al 31 dicembre, e recano quindi la data di emissione 1° gennaio 1823. Inoltre, nella parte superiore al centro, appare in ovale l'emblema del Primo Impero Messicano, un'aquila reale su un cactus del genere Opuntia, ma senza serpente nel becco, come stabilito dal decreto del 7 gennaio 1822:

"...lo stemma dell'impero, per tutti i tipi di sigilli, sia solo il fico d'India nato da una roccia che esce dalla laguna, e su di esso in piedi sulla zampa sinistra, un'aquila con una corona imperiale..."




Cedola da 1 Peso del Primo Impero (il retro è in bianco)


Secondo James Bevill ("The Paper Republic. The struggle for money, credit and independence in the Republic of Texas", 2009), questi biglietti furono probabilmente stampati dalla tipografia di Samuel Bangs in Saltillo, Coahuila o Tejas (attuale Texas), oppure direttamente al Palazzo Imperiale di Città del Messico, su carta di cotone o lino.
Per tutte le transazioni superiori a 3 Pesos di carattere commerciale (pagamento degli stipendi degli impiegati nella pubblica amministrazione e dei soldati, acquisti di ogni tipo e scritture private o pubbliche) che avessero avuto luogo nel corso dell'anno 1823, sarebbe stato obbligatorio corrispondere un terzo del totale in cedole e i restanti due terzi in moneta metallica; inoltre, le cedole avevano corso legale, ovvero la loro accettazione era obbligatoria; la sanzione per chi si fosse rifiutato di riceverle ammontava al doppio del totale della transazione, interamente da pagarsi in moneta metallica:

"Gli individui che resistano alla ricezione delle cedole... saranno multati con il doppio in denaro contante (moneta metallica)..."

Mano a mano che le cedole pervenivano nelle casse del Tesoro imperiale, venivano annullate con un taglio trasversale sopra la firma del Ministro delle Finanze, come si vede nell'immagine qui sopra. Gli esemplari non emessi furono invece annullati mediante la scritta "Ynutilizado" a penna al retro, con luogo e data:





Nonostante il deterrente della multa in moneta "sonante", queste banconote furono rifiutate dalla popolazione, non avvezza all'uso della carta moneta. In particolare, l'obbligo della loro accettazione rafforzò nella popolazione, già vessata dalle politiche del governo, il tradizionale sospetto che si trattasse di una truffa orchestrata dai governanti per accaparrarsi l'oro e l'argento in circolazione dando in cambio carta senza valore. Ricordo che Calleja avanzò la stessa insinuazione dieci anni prima nei confronti del Sottosegretario Malo.
Secondo Manuel Farrera (blog della Società Numismatica del Messico) la ragione del fallimento di questa emissione fu invece il proliferare di falsificazioni. Ad evidenza di questa teoria, l'autore mostra alcuni falsi (anche improbabili, come il 5 Pesos che nemmeno esisteva):


1 peso falso

5 pesos (inesistenti!) falsi

10 pesos falsi

(Ho sfocato i numeri di serie perché ho tratto le immagini dall'articolo citato)

È probabile che tra i due fattori, sfiducia nei confronti del governo e falsificazione, sia esistito un rapporto di causa ed effetto. Fatto sta che il 20 marzo 1823 Iturbide, in conflitto con il Congresso costituente repubblicano, fu costretto ad abdicare e l'Impero collassò a neanche un anno dalla sua fondazione e appena tre mesi dopo l'entrata in vigore delle cedole.


BIGLIETTI PER IL PARADISO: LE NUOVE CEDOLE

Con il decreto 11 aprile 1823 il nuovo governo repubblicano, nato dalle ceneri dell'effimero Impero di Iturbide, stabilì il ritiro delle cedole imperiali attraverso la conversione in nuove cedole. Le matrici e la carta utilizzate per la stampa di quelle precedenti furono ritirate e distrutte, per evitare eventuali frodi. Le nuove banconote riportano la versione repubblicana dello stemma nazionale, come formalizzata dal decreto del 14 aprile 1823:

"Che lo scudo sia con l'aquila messicana, in piedi sulla zampa sinistra, su un fico d'india che nasce da una roccia tra le acque della laguna e che afferra con la (zampa) destra un serpente nell'atto di lacerarlo con il becco; e che questo stemma sia adornato da due rami, uno di alloro, l'altro di quercia, secondo il disegno usato dal governo dei primi difensori dell'indipendenza."




Fronte della cedola da 1 Peso del 1823


Come si capisce semplicemente leggendo la dicitura al fronte, le nuove cedole furono create esclusivamente allo scopo di sostituire quelle vecchie. All'articolo 3 del decreto citato leggiamo la medesima frase:

"L'uso di questa nuova carta (moneta) sarà precisamente e unicamente per il cambio di quelli (biglietti) dell'emissione precedente che si presentino."

Quindi è da emendare assolutamente la teoria diffusa (ad esempio, vedasi Banco de México) secondo cui il governo repubblicano ritirò le cedole imperiali e solo successivamente decise di emettere una nuova serie: l'emissione delle nuove cedole del 1823 è contestuale al ritiro delle vecchie cedole "imperiali". I possessori di queste ultime dovevano presentarle per il cambio alle casse della Tesoreria entro 15 giorni dalla data di pubblicazione del decreto, per i cittadini del distretto capitale, o entro 30 giorni, per i cittadini del resto del paese. Questi ultimi, inoltre, avevano l'obbligo di controfirmare le cedole imperiali che presentavano al cambio, in modo che, qualora fossero state rilevate come false, sarebbero state restituite annullate al proprietario.

Ma, sempre all'articolo 3, c'è dell'altro:

"Le banconote saranno stampate su carta per bolle con ogni precauzione per prevenire la loro contraffazione."

Con una decisione apparentemente sorprendente, le nuove cedole vennero stampate sul retro delle "Bolle della Santa Crociata" ossia indulgenze emesse in tutt'altro momento e contesto dalla Comisaría General de Cruzada ("Commissariato Generale di Crociata", un ente ecclesiastico spagnolo di natura fiscale) per concedere ai fedeli, dietro pagamento di una determinata somma, la facoltà di mangiare carne, uova e latticini durante la Quaresima.


Retro della cedola da 1 Peso del 1823 con Bolla della Santa Crociata datata 1817


Questa decisione, che può apparire strana, trova in effetti la sua ragion d'essere se si considera il particolare regime di doppia fiscalità che vigeva nei territori delle ex-colonie spagnole. La Chiesa cattolica gestiva un proprio sistema di raccolta del denaro, necessario a mantenere il clero e le proprietà ecclesiastiche, attraverso gli oboli, le offerte dei fedeli, le decime, le novene e, non ultima, la vendita delle indulgenze. Se negli stati cattolici dell'epoca il sistema fiscale ecclesiastico era indipendente e separato da quello imperiale, nelle colonie ispanoamericane era invece subordinato a quest'ultimo, a cui doveva versare una consistente parte. La vendita di indulgenze o bolle costituiva una grossa parte degli introiti della Chiesa cattolica, e quindi anche dello Stato. Inizialmente il loro acquisto era facoltativo ma in seguito divenne obbligatorio trasformandosi in vera e propria imposizione fiscale. Alla fine del XVIII secolo, il 33% degli introiti dalla vendita delle indulgenze era destinato alle casse del Viceregno.




È probabile quindi che queste bolle fossero assimilate a vere e proprie ricevute di pagamento. La decisione del loro utilizzo per stampare carta moneta appare quindi una soluzione conveniente perché, se da un lato permetteva al governo di risparmiare il denaro necessario per la fabbricazione della carta mediante il riciclo dei documenti a disposizione, dall'altro permetteva di far leva sul significato di quelle bolle, sia dal punto di vista "monetario" sia religioso, offrendo al popolo, profondamente cattolico, delle banconote con la duplice funzione di mezzo di scambio e di remissione dei peccati. In questo modo, il governo pensò di aumentarne l'attrattiva e di mitigare l'avversione popolare ad esse.
Le bolle utilizzate sono di tipologie e fatture differenti ma presentano degli elementi in comune: in alto a sinistra, appare il disegno dei Santi Pietro e Paolo, in basso a sinistra la croce simbolo della Comisaría General de Cruzada. In basso, al centro e a destra, troviamo rispettivamente la firma e l'emblema del Commissario in carica. Personalmente ho riscontrato le firme e gli emblemi di due diversi Commissari, Francisco Yáñez Bahamonde (in carica dal 1811 al 1823) e Patricio Martínez de Bustos (dal 1792 al 1810), ma è possibile che siano state utilizzate bolle con altre firme e fatture:


Vignetta con i Santi Pietro e Paolo

La croce uncinata, simbolo della Comisaría General de Cruzada


Poi c'è uno strano stemma, in alto a destra, che non sono riuscito ad identificare ma che sicuramente non è uno stemma papale, contrariamente a quanto affermato da tutte le fonti che ho potuto consultare (ad esempio, vedasi ancora Banco de México). Un amico appassionato di araldica mi ha segnalato il primo stemma di Papa Pio VI, nel cui inquartato (lo stemma grosso suddiviso in 4 quarti e al cui centro è sovrapposto uno stemma più piccolo) compaiono tutti gli elementi costitutivi del nostro misterioso emblema, anche se in disposizione diversa: oltre alla tiara e alle chiavi decussate, prerogativa pontificia, appaiono un'aquila bicipite coronata, una coppia di gigli in banda e tre stelle a otto punte (a sei punte, invece, nello stemma di Pio VI).


Stemma sulle bolle della Santa Crociata

Stemma di Papa Pio VI


Quale che sia il significato dello stemma misterioso, la decisione di utilizzare delle vecchie indulgenze per stampare le nuove cedole dimostra che il governo repubblicano si era dato molta pena di renderle più appetibili sfruttando il fattore religioso costituito dalle bolle della Crociata. Tuttavia, non aveva rimosso quello che era stato l'ostacolo principale all'accettazione delle precedenti cedole imperiali, ovvero il corso legale. Infatti, nel decreto di emissione, leggiamo che:

"...dalla pubblicazione di questo decreto, cessa l'obbligo di pagare e riscuotere con carta moneta, fino a quando i detentori non l'abbiano cambiata nella tesoreria generale con quella che la sostituisce."

In altre parole, il corso legale delle nuove cedole restava in vigore.
Ben presto, fu chiaro l'errore e vi si porse rimedio un mese dopo, con il decreto del 16 maggio, che all'articolo 8 stabilisce:

"Dalla pubblicazione di questo decreto, sarà assolutamente libera la circolazione di carta moneta nei pagamenti e nei contratti dei privati."

L'ultimo articolo del decreto stabiliva inoltre la distruzione progressiva delle cedole repubblicane ricevute in pagamento alle dogane ma, siccome il processo di ritiro della carta moneta si protrasse oltre le previsioni dei legislatori, il 6 settembre il corso legale fu nuovamente introdotto limitatamente a una certa parte dei debiti nei confronti della pubblica amministrazione nazionale:

"...i commercianti avranno l'obbligo di corrispondere in quella (carta moneta) la sesta parte dei diritti dovuti per le proprie transazioni, alle dogane interne."

Una volta chiusa l'esperienza delle cedole repubblicane, l'economia messicana tornò a fare affidamento esclusivo sulla tradizionale moneta metallica per i successivi 40 anni, nonostante non mancarono tentativi di costituire banche commerciali, alcune delle quali ebbero anche la concessione per l'emissione di banconote (in particolare, cito il progetto di un Banco de Emisión del generale Francisco de Garay, che avrebbe dovuto emettere banconote garantite dai diritti derivanti dalla concessione per la colonizzazione della Valle del Rio Grande), nessuno dei quali tuttavia si concretizzò.
Fino a quando, nel 1864, non sorse un nuovo "Impero".